Gianni Battimelli (Università La Sapienza)
Gli anni del secondo dopoguerra sono per il paese gli anni della ricostruzione. Per il sistema della ricerca, e più specificamente per la fisica, più ancora di ricostruzione è corretto parlare di costruzione tout court; si tratta di mettere in piedi, e dare stabilità, a assetti istituzionali e tradizioni di ricerca che negli anni precedenti erano appena stati abbozzati, e con risultati assai dissimili in differenti settori. Per l’indiscusso livello di eccellenza già raggiunto nella fisica nucleare e nello studio della radiazione cosmica (due filoni di attività che nel dopoguerra sempre più si unificano nella fisica delle particelle elementari), sono questi settori di ricerca quelli che dominano la scena nel periodo postbellico, e che cominciano a fungere da volano per lo sviluppo di altri campi di attività.
È il caso della meccanica statistica, un ambito di ricerca tanto ampio quanto non rigidamente definito, in cui il contributo italiano fino alla metà del secolo è del tutto marginale, quando non del tutto assente, al di fuori dell’apporto di Fermi, e poi di Gentile jr., nel settore delle statistiche quantistiche. La conferenza di Firenze del 1949 segna un punto di partenza per lo sviluppo anche in Italia degli studi di meccanica statistica, insieme e di concerto con la ripresa delle attività in fisica dello stato solido.
Nel mio intervento cercherò di fornire alcuni elementi di lettura di questo processo, che ha un suo primo significativo approdo nelle scuole di Varenna degli anni 1959 e 1960, dedicate rispettivamente alla termodinamica dei processi irreversibili e alle teorie ergodiche, che vedono la presenza come docenti dei primi fisici italiani attivi nel campo.